23/01/10

Sono migrante e gay, libero e smarrito

Delia Vaccarello
Una ricerca sugli stranieri omosex provenienti da Nord Africa, Sud America ed Europa dell’Est rivela disagi e sorprese: lo stupore di poter dire di sé, il taglio con le radici

Libertà e smarrimento. «Non ci posso credere, sono arrivata in Italia e ho trovato una porta per aprirmi, per capire». È una vertigine, una sbornia persino, un liberatorio capogiro ciò che provano molti immigrati gay, lesbiche e trans giunti da noi.

Il nostro paese, così orfano di diritti, è tuttavia diverso dai luoghi ove l’omosessualità è vissuta sempre come un peccato e viene considerata un reato. «Arrivo da un Paese dove non posso esistere. Qui almeno non ho paura di vivere». «Nel mio Paese facevo un’altra vita. Qui nessuno mi conosce».

Sono alcune voci raccolte nella prima ricerca sui migranti omosex e trans condotta in Italia, i cui risultati iniziali sono stati presentati a Bologna in un seminario organizzato da Arcigay (nell’ambito di un progetto finanziato dall’ex ministero della Solidarietà sociale, con la partecipazione degli enti locali). Una ricerca qualitativa e quantitativa, che ha lavorato su 31 storie in prevalenza latino-americane, del Nord Africa e dell’Europa dell’Est, scandagliando disagi ed emozioni. Le informazioni serviranno agli operatori dei servizi pubblici e privati rivolti anche agli immigrati, che non devono cadere nell’errore, così diffuso, di presupporre che tutti siamo etero, salvo smentite spesso non espresse per le mille ragioni che confinano i gay nel nascondimento.

Libertà, dunque. La sensazione è legata al potersi dire omosex, alla presenza di associazioni che lavorano per l’inclusione, alle manifestazioni: «Incredibile, arrivare in un paese e potersi rivolgere a un’associazione e dire: guarda io sono così». C’è chi è stato davvero fortunato: «Io sono arrivato in Italia, a Roma, nel 2000, una settimana prima del famoso Gay Pride. Il giorno della manifestazione senza volerlo e senza saperlo ho camminato un po’ da Piramide a Circo Massimo. È stata una cosa bellissima, mi sono commosso nel vedere per strada tutta quella gente che veniva da tutto il mondo, quanti amici…. ».

Libertà certo, ma «spaesata». Cosa succede quando ti accorgi di essere sbarcato su Marte senza avere programmato il viaggio? Se ti riconosci una «marzianità» presente e futura, comincia a vacillare tutto quello che ti lega al tuo essere «non marziano», e quindi al passato, al paese di origine, alla cultura di provenienza, familiari inclusi. Non deve sorprendere che quasi nessuno provi nostalgia della terra natale. E che gli immigrati di seconda generazione, cioè quelli arrivati in Italia piccolissimi, oppure nati qui, si sentano più «realisti» del re, cioè italianissimi, e separati dai propri congiunti da un abisso di conoscenze e modi di vivere.

Succede che in casa si comporti da etero il gay migrante che, fuori, in versione «neoitaliano», si sente se stesso: «Finché abito con loro, devo tenere molte cose dentro. Non deve sapere nessuno». Può accadere che scarti partner perché immigrati: «Non sei il mio tipo perché sei straniero». O ancora, con un tuffo carpiato, che si inventi un’altra provenienza: «Alle volte mi fingo americano». Che non scommetta sulla solidarietà dei connazionali e possa informare i parenti, visto che non capiscono. «Glielo dico che vado al Cassero (la sede Arcigay di Bologna, ndr), ma tanto non sanno cos’è».

Che fare? La ricerca traccia alcuni percorsi possibili (vedi www.arcigay.it/multiculturalita e www.lelleri.it). Si può vivere tagliando le radici? Un po’ più liberi certo, ma con qualche problema di identità, i migranti rischiano di attingere a un set di maschere, ciascuna per ogni occasione.

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